giovedì 21 febbraio 2013

Promised Land



PROMISED LAND.

Ci sono casi in cui lo spettatore si sente come avvolto dalla storia che gli si pone davanti, “scaldato” da una coperta fatta di affezione per i personaggi e la loro storia. Spesso questi film appartengono al cinema americano, perché se tante sono le critiche che si possono muovere a Hollywood di certo non si può contestare la loro abilità narrativa.
Promised Land racconta la storia di due impiegati di una multinazionale del gas naturale, chiamati all'ennesima operazione di acquisto di terreni in una cittadina (povera) della provincia americana. Ma questa volta la destinazione riserverà loro la scoperta di pesanti dubbi, sul loro lavoro ma anche sulla propria identità.
Il percorso del film si snoda in una serie di scene in perfetto equilibrio, sia l'una con l'altra che nella propria composizione. Ognuna offre qualche informazione in più sull'animo dei personaggi, spesso attraverso un gioco fatto di riflessione e ironia, così frequente nel cinema americano da poter essere definito “classico”, ma di certo non semplice da realizzare. In quest'opera tutto si muove in modo apparentemente naturale, merito della sceneggiatura di Matt Damon che dimostra nuovamente quanto la sua abilità in questo campo non sia certo inferiore a quella nella recitazione. Stupisce ancora l'organicità del testo, per una storia che cresce di scena in scena senza mai volerci avvicinare troppo al personaggio, cercando invece di lasciarci lo spazio per un giudizio critico sulla vicenda, ma anche per riflettere su quale posizione avremmo preso noi in quella situazione.
Peccato solo per i rimpianti che avvia la prima scena; col suo splendido carrello a seguire il protagonista, prima dell'incontro con i “grandi” capi, aveva fatto sperare in un film con ben altri risultati dal punto di vista figurativo, come ci si aspetterebbe da Gus Van Sant. Invece quel che rimane è un'opera narrativa alla Cameron Crowe. E già questo non è poco.

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