giovedì 31 gennaio 2013

Django Unchained



DJANGO UNCHAINED.

Se fosse il suo primo film sarebbe un capolavoro.
Ma la sfortuna dei grandi artisti è quella di elevare attorno a sé un'aura così lucente che tutto ciò che ti aspetti è che riescano ogni volta a farla brillare ancora di più. Prima o poi però si arriva a un punto dove si è talmente abbagliati da quella luce che si dura fatica a vedere le cose per come sono.
Come sempre succede con questo artista a tutto tondo, lo spettatore trascorre quasi tre ore di grande intrattenimento, alternando momenti di forte ironia a quadri poetici dalla grande carica estetica, nel contesto di una tematica importante come la schiavitù che seppur in modi sottili traspare comunque dalla divertente trama. Basti pensare alla introduzione del film, con l'eccitante accostamento tra la camminata trascinata degli schiavi nel deserto e la musica potente sullo sfondo, ma soprattutto con la prima scena notturna del film. La straordinaria fotografia rivela i piedi degli schiavi, naturalmente incatenati, che con dei movimenti confusi e irregolari mostrano tutta la sofferenza di quei corpi.
Poi da qui il film prende la sua strada tarantiniana e incomincia il divertimento. E sinceramente, è davvero un divertimento senza fine.
Premesso che non è il suo miglior film, c'è però da chiedersi chi sarebbe in grado di mettere in scena le tante situazioni corali con tale disinvoltura da renderle non ridicole, ma “veramente” ridicole... Nessuno.
Nessuno ci è riuscito finora, nonostante siano passati vent'anni dal suo esordio alla regia. Ma se questo può sembrare solo un merito in realtà ormai è diventato pure un limite. Il suo talento è così immenso e unico che gli permette anche senza “fatica” di fare prodotti che colpiscono per forza lo spettatore e lo affascinano. E' talmente bravo che non può fare film brutti. Una verità che appartiene solo a lui. Ecco che forse allora è giusto sperare in qualcosa in più.
Non esigere, si faccia attenzione, ma solo nutrire la speranza che davanti a un suo film, nella buia sala del cinema, si possa assistere a un nuovo esempio di grande regia come l'inizio di Bastardi senza gloria (per intenderci fino all'arrivo in casa del colonnello Landa), stavolta esteso a tutto il film. Ne sarebbe sicuramente capace Tarantino, ma succederà solo se troverà piacere nel farlo. Perché in fondo è questo che prima di tutto avvertiamo nei suoi film: il primo a divertirsi è proprio lui.


martedì 22 gennaio 2013

ZERO DARK THIRTY



                                                      Zero Dark Thirty TRAILER



ZERO DARK THIRTY.

Un film sulla cattura di Bin Laden poteva essere realizzato in molte maniere, ma nessuna sarebbe stata più a effetto di quella scelta da Kathryn Bigelow per il suo Zero Dark Thirty.
La caccia all'autore dell'attacco alle Torri Gemelle del 11 Settembre 2001 è durata dieci anni, e per tutto quel periodo i cittadini americani sono stati spinti da un desiderio che andava oltre la sete di giustizia: il bisogno di dare un po' di pace a quell'enorme ferita loro inferta.
Questo comune percorso è sapientemente messo in scena attraverso le vicende della protagonista del film (Jessica Chastain è semplicemente stupefacente in questo ruolo), che si fa portatrice di tutta la sofferenza ma anche della determinazione e di quella quasi a tratti irrazionale necessità di arrivare in fondo, che più volte rivela ai suoi superiori.
Ecco dove il film riesce invece a stupire.
Non c'è neppure un momento di patriottismo, neanche una scena di eroismo; l'occhio sull'azione è sempre neutro, manca qualsiasi forma di giudizio, anzi sembra esserci lo stesso rispetto nei confronti degli agenti della CIA come dei loro nemici. Anche le scene di tortura dell'inizio non rivelano alcun moralismo, tante volte ravvisato nel cinema americano dell'ultimo decennio inteso com'è a dimostrare il disprezzo della società americana per le atrocità Guantanamo. Qui fanno solo parte di un puzzle, di un percorso che, tra gli attentati di Londra e Islamabad e l'elezione di Obama, ci porta fino alla scoperta del covo. Il film non mostra niente più del necessario, e niente meno.
A questo punto vi è però un momento di rottura.
Se finora abbiamo praticamente sempre visto e sentito solo quello che ha vissuto la protagonista, proprio nella scena “decisiva” ce ne separiamo, come se adesso che il suo lavoro è fatto ella potesse fermarsi e inviare noi in missione, insieme ai soldati.
Naturalmente sappiamo già come finirà questa missione, e non ci sono dubbi sulla reale identità dell'uomo che si nasconde, eppure non assistiamo ad alcuna ellisse temporale nel racconto; anzi la ripetizione di alcune azioni (come l'esplosione delle porte) esaspera ancora di più la dilatazione temporale, facendoci vivere nella sua “reale” durata e complessità tutta la missione.
Così assistiamo anche all'uccisione di tutti i vari adulti incontrati nell'abitazione/fortezza. In particolare vediamo l'efferatezza con cui alcuni soldati sparano sui corpi già divenuti cadaveri; immagini queste che sembrano offrire il primo e unico commento allo spettatore (e non si tratta certo di un commento patriottico).
Ma ecco che l'unica uccisione che ci viene celata è proprio quella di Osama Bin Laden; vediamo solo infatti i soldati sparare a qualcuno oltre una porta. Ancora una volta il racconto si fa esile, essenziale, rosselliniano nel suo ricordare la Magnani uccisa in Roma città aperta
Kathryn Bigelow mette in atto con questo film un approccio davvero non ipotizzabile a una storia vera così pesante nella storia recente americana.


domenica 13 gennaio 2013

Cloud Atlas


                                                         Cloud Atlas TRAILER

CLOUD ATLAS.

Innamorarsi di questo film durante il suo prodigarsi tra una storia e l'altra resta assai facile, ma non inevitabile, eppure per farlo bisogno senza dubbio che lo spettatore si lasci alle spalle i molti dubbi che gli si parano davanti durante la visione. Ma non vi preoccupate di ciò, perché di certo vi verrà come un'azione involontaria, tanta è la frenesia del film.
La sceneggiatura punta a costruire una sorta di scala a chiocciola in cui le storie di diverse epoche si richiamano in un ordine sparso, che ci conducono però in una sola e precisa direzione, tenute assieme da molto più che la “evidenziata” reincarnazione dei personaggi. La voce della replicante sottolinea nei momenti delicati del film la presenza di un filo che unisce tutti gli esseri viventi; un azione buona o cattiva avrà certamente le sue conseguenze, in questa o in un'altra vita. I legami che i personaggi vivono non finiscono nella loro “storia”, ma danno vita ad altre ancora senza un ordine preciso, ma sotto la forza dell'universalità che si fa mito.

Ogni uomo nasce, muore e rinasce nei panni di un nuovo individuo, percorrendo i secoli e le ere. Le scelte compiute in una vita influiscono sulle esistenze altrui, presente e futura, in quanto tutti siamo collegati. Questo è il presupposto.
Ma cosa succede se un disegno preciso si nasconde tra le pieghe del Tempo, e una voglia sulla pelle ne diventa appunto segno? Il presupposto viene contraddetto; le decisioni che compiamo sono già previste da tempo e non possiamo più chiamarle “nostre”.
Il dilemma del libero arbitrio si ripropone, salvando il film da questo inceppamento e rendendolo a questo punto ancor più affascinante.




Ci sono volte in cui un film, così come un libro, riesce a cogliere i tratti fuggevoli del mito e ad acchiapparci dentro.
Cloud Atlas percorre cinque storie in cinque epoche diverse, dalla fine Ottocento sino a un ipotetico futuro, intrecciando tra loro le vicende di personaggi che per motivi vari e misteriosi si richiamano tra sé, rivelando allo spettatore un solo grande Disegno.
La reincarnazione si pone allora a fondamento di tutta la struttura del film, avviando un gioco continuo con lo spettatore, chiamato a riconoscere i volti degli attori sotto i più ostici costumi. Perché solo così possiamo davvero percepire questo tipo di legame.
Ogni decisione che compiamo influisce su chi ci sta attorno e su chi verrà dopo di noi, nel bene e nel male, perché tutti siamo uniti. Questo invece il principio chiave alla base di quest'opera, che sapientemente a livello di sceneggiatura è riuscita a sintetizzare la complessità del romanzo conferendosi una formula assolutamente originale.
Sembra impossibile di fronte a questa pellicola non pensare alla composizione di una sinfonia e dei suoi movimenti, come appunto accade in una delle storie con la scrittura della “Cloud Atlas” per sestetto di archi. E' impossibile altrettanto rallentare in quel misto di attenzione, concentrazione ed esaltazione, che il flusso di immagini ci pone di fronte per una durata di quasi tre ore, senza sosta.
Innamorarsi di questo tempo vi assicuro sarà facilissimo. Altrettanto lo sarà però rimanere con molte domande alla fine della visione (e non solo la prima volta), ma questo non ci deve preoccupare. Non avrà importanza di fronte ai temi universali:amore, amicizia, Fede, ingiustizia e rivalsa. Il mito appunto, che si fa vita e ago puntato al nostro essere Umani.
Ma se c'è un disegno preciso, come evidenziano le voglie sulla pelle dei personaggi, siamo poi davvero liberi di compiere delle scelte, o queste sono state già fatte per noi? Volontariamente o involontariamente, ecco anche il tema del libero arbitrio.

The Master



THE MASTER.

A volte è davvero difficile dare un senso a un film, ma pensandoci bene forse già dall’inizio ce ne fornisce uno. Ancora alla fine infatti si fa fatica a capire che cosa esattamente il protagonista offra da bere ai suoi “clienti”, e nonostante alcune domande neanch’egli dà mai una risposta precisa.
Se non puoi capire cosa bevono non puoi capire neanche il film.

Ora, diciamo pure che facciamo finta di essere degli intellettuali e riusciamo a leggere in questa pozione segreta una metafora di quella fede proclamata dal “the master” e dai suoi adepti. Così alcune scene rivelano un certo significato, e il tutto ci pare più interessante…
Il film resta comunque senza senso.

Non vuol dire che non sia chiara la trama, perché si capisce che è la storia di una grande solidarietà tra un uomo “perso” nel mondo ed un altro ancorato a una finzione, ma non per questo meno perso dell’altro; e non mancano certo dei momenti di forte emozione, che rimangono però confinati ai personaggi, lasciandoci semplici testimoni.

È tutto il resto che non è né chiaro né scuro, e ti lascia lì con la delusione di un viaggio mancato.