venerdì 28 giugno 2013

Man of Steel ENGLISH REVIEW



MAN OF STEEL.

Zack Sneider, one of the most talented director of last generation, takes the responsability of play once again the story of Superman, after just seven years since Bryan Singer's version. For this occasion he choses the reboot solution, very frequent nowadays.
If it's not possible to subvert the structure of the story, Snyder decides to compose in a different way the events of Clark Kent's life, threw an interesting scheme of flashbacks and introducing just in the beginning the key enemy of the movie. It seems reasonable the fact that the first idea was to change the point of view upon a story known alla over the world, giving instead to the viewer a narration starting far from the main character and reaching him in medias res, when the enemy is just ready for the battle. The problem is that, as the Bill from the Tarantino movie tells, Superman is not a human being; he doesn't decide to become Superman, and we don't know who he is (and what he can do) at the beginning, but we discover it at the same time he discovers himself . However when you can just have a look to his adolescence threw some flashbacks, and your point of view is not the same of Superman for at least thirty minutes, there can't be fascination.
Furthermore also the central theme of Superman's dilemma between human beings and Krypton people is shown more by words than images, with dialogues that become redundant in this way.
The final result of this reboot is lack of fascination; also when the movie becomes full of action the viewing is only spectacular, no sentiment in it. And Superman's shout, at the end, echoes in a mind already far away from theater.

giovedì 27 giugno 2013

L'uomo d'acciaio



L'UOMO D'ACCIAIO.

Zack Snyder, regista tra i più stimati degli ultimi dieci anni, si prende a carico la grave responsabilità di rimettere in scena, dopo soli sette anni dall'ultima comparsata, la storia di Superman, attraverso un operazione che ultimamente ha trovato non pochi esiti positivi, il reboot.
Senza poter chiaramente stravolgere la struttura del racconto, il film ricompone in modo originale le fasi dell'esistenza del protagonista, giocando su un interessante schema a flashbacks, e optando per uno svelamento immediato dell'identità del nemico, introdotto da un prologo piuttosto “approfondito” sulle vicende che portano il giovane Kal El sul pianeta Terra. La considerazione alla base di quest'opera è evidentemente la necessità di cambiare il punto di vista su una storia che tutti conoscono, facendo in modo che la narrazione parta alla larga rispetto al suo protagonista e lo incontri invece solo in medias res, ovvero quando il nemico è pronto al confronto. Ma la particolarità di questo supereroe, così come sottolineava a suo tempo il Bill di Tarantino, è quella di non essere un umano; il suo percorso per divenire un eroe non è frutto di una sua scelta, e l'identità di questo individuo non è definita sin dall'inizio, ma è anzi il vero obbiettivo del viaggio di Superman. Quando la scoperta dei suoi poteri viene confinata nei soli flashbacks e il punto di vista dello spettatore per una buona mezz'ora non viene fatto coincidere con quello del protagonista, ma con quello di personaggi secondari, accade che il coinvolgimento nel percorso di questo supereroe sia limitato, oppure del tutto assente.
La crisi di identità del protagonista è sicuramente il punto centrale dell'analisi di Snyder, che realizza probabilmente la scena più forte e intensa proprio per uno dei momenti determinanti in questo senso, ovvero il sacrificio del padre terrestre; ma per tutto il resto del film invece la questione è solo oggetto di parole, e se il dilemma che vive il protagonista, diviso tra i due popoli, risalta allo spettatore non è per effetto delle immagini ma per quello di dialoghi ridondanti.
L'esito finale di questo reboot è una mancanza di interesse per le vicende raccontate, che anche quando si fanno colme di azione lasciano il pubblico a una visione spettacolare, ma priva di sentimento. L'urlo di Superman, dopo aver eliminato l'unico altro superstite di Krypton, echeggia così nel vuoto di una mente che ha già da parecchi minuti la sala.

martedì 25 giugno 2013

Stoker


STOKER.

La silhouette di una ragazza si staglia sullo sfondo di un tramonto intenso, dai toni cupi. Le parole fuori campo sembrano appartenere a una ormai ex adolescente, disillusa e pronta a iniziare il viaggio nell'età adulta: finalmente libera, pronta ad accettare il suo destino.
Chan-wook Park si trasferisce per questo film dall'altra parte del mondo, ingaggia maestranze americane e si affida ad un cast hollywoodiano composto da un interessante mix tra giovani promettenti e attori affermati; il risultato è semplicemente un film di Chan-wook Park. L'ossessione della critica cinematografica per il tema del regista trapiantato ad Hollywood finisce infatti stavolta con un risultato più unico che raro, e probabilmente deludente per i molti già pronti ad indicare l'ennesima prostituzione al mito hollywoodiano. Stoker si pone in modo naturale come continuazione dell'opera del regista, in linea con i suoi temi più cari e con il suo modus operandi, senza compromessi ma neppure cercando di nascondere la diverso dimensione produttiva in cui è stata realizzata l'opera.
Il film racconta la storia di India, una diciannovenne che ha appena perso il padre e che si ritrova, da un giorno all'altro, a dividere la propria casa con una madre che non ha mai sopportato e con uno zio di cui non ha mai conosciuto l'esistenza. Quest'uomo si rivela da subito interessato in modo ambiguo alla ragazza, e proprio la misteriosa natura di questo individuo finirà per rivelarsi decisiva nella maturazione della giovane protagonista. Tensione, seduzione, mistero: tutte le componenti dei migliori thriller hollywoodiani. Ma anche del cinema di Park che, come al solito, trasforma il soggetto scelto in un saggio sull'essere umano. Per fare ciò due sono le vie possibili al cinema: prendere l'esempio di individui e gesta straordinari, oppure quello di individui ai limiti opposti, in bilico tra morale e immorale, tra umano e disumano. Una delle due è la strada facile, l'altra è quella di Chan-wook Park.
Eros e Thanatos sono i motivi conduttori del film: il primo dà avvio alla maturazione della protagonista, l'altro è da sempre parte di lei e della sua natura. Lo zio diventa allora la guida in grado di scortare India nel delicato passaggio all'età adulta; senza perdersi nei dubbi amletici sulla propria identità ma finendo per comprendere che chi siamo ora è frutto del nostro passato e di un futuro già segnato. Mescolare amore e morte come fa quest'autore comporta però penetrare nel territorio del macabro, ed è in questo modo che il film si esalta e decide di parlarci più in generale dell'essere umano e della sua natura, attraverso l'antiretorica e la messa in scena delle sensazioni primarie che ci rendono prima di tutto degli animali. Così l'orgasmo nel film nasce dalla morte e dal suo ricordo, mentre il montaggio, le carrellate e il crescendo musicale del brano al pianoforte rappresentano la possibilità offerta a noi spettatori di renderci partecipi di un viaggio nella nostra natura.
Chan-wook Park dimostra ancora una volta quanto il termine “autore” non sia affatto improprio in certi casi, ma anzi valorizzi una continuità di tematiche e messa in scena che possono anche non cadere sotto i dettami di una cinematografia tanto diversa e tiranna. Il sangue e la morte continuano così a “strisciare” pure lungo Stoker, all'interno di immagini costruite con una cura maniacale per la fotografia e il dettaglio; come piccoli dipinti velati di mistero.Il regista si lascia andare stavolta anche a brillanti omaggi alla macchina del cinema (cos'altro è il cinema se non una luce che infrange il buio di uno spazio chiuso come quello di un sottoscala?), e se pure ceda forse qualcosa sul piano narrativo al momento della consueta scena americana di riepilogo dei “perché” e dei “come”, il percorso di vita scelto dalla protagonista nel finale riporta tutto il film nelle mani del suo coreano autore. E la sua firma non può che essere l'ennesimo (e forse pre-tarantiniano) spruzzo di sangue, stavolta su fiori immacolati.

venerdì 21 giugno 2013

Star Trek Into Darkness




STAR TREK INTO DARKNESS.

Quattro anni dopo il primo tuffo nel passato pre-serie tv, J.J. Abrams torna a misurarsi con la celebre sagra di Star Trek e con i suoi famosi protagonisti in questo Into Darkness dai colori accesi e toni cupi.
Di fronte a un attentato terroristico ai danni di una sede militare, la flotta stellare decide di avviare una caccia all'uomo per la cattura del mandante, ormai scappato però nelle terre limitrofe e out limits dei pericolosi Klingon. Di fronte alla concreta possibilità di far scoppiare una guerra con questo popolo, l'equipaggio della Enterprise dovrà decidere come procedere con una missione tutt'altro che trasparente, come invece gli è stata presentata.
Come spesso successo negli ultimi dieci anni di cinema hollywoodiano, in particolar modo nel genere fantascientifico, al centro della scena vengono disposti il tema del terrorismo e il suo ambiguo legame con gli apparati politici che dovrebbero rappresentare la difesa dei cittadini. L'eredità dell'Undici Settembre 2001 sul cinema è diventata una nuova dimostrazione dell'assoluta abilità di Hollywood di percepire lo stato d'animo e le paure della società circostante e di filtrare da esse ciò che più si adatta al successo di botteghino. Da questo punto di vista anche l'operazione del 3D risulta in funzione del primo, e naturale, obbiettivo di un'industria grande quanto il cinema hollywoodiano, capace di imporre le proprie strategie di marketing anche su un regista (tra i più “potenti”) che ha invece appena compiuto una scelta originale ed anacronistica, realizzando la sua opera in pellicola.
Ma molti altri sono i segni di un approccio originale e interessante a questo genere, da parte di Abrams. Se il primo capitolo era all'insegna dell'azione, nel nuovo film è la relazione tra i personaggi a primeggiare, soprattutto quella tra Kirk e Spoke. Sin dall'inizio è la loro amicizia ad essere al centro della storia, e, anche nel proseguo, lo sguardo costantemente puntato sui due non fa altro che rendere la “missione” solo un contesto e un pretesto per un'indagine ritenuta molto più interessante dal regista. Anche il cattivo di turno rompe con gli schemi classici del genere; prima assume i panni del nemico cinico, quindi, come prevedibile, si svela come un incompreso alleato. Ma nel finale la situazione a sorpresa si ribalta nuovamente, e il personaggio si mostra come il crudele antagonista da sconfiggere.
Che l'abilità di questo regista si adattasse in modo perfetto col genere d'azione lo si era capito da tempo, e viene ribadito anche qui già dal preludio del pianeta minacciato dal vulcano. Eppure stavolta a farsi notevole è lo sguardo offerto all'intimità dei personaggi, con una profondità che mai Abrams era riuscito a trovare nel precedente (e personale) Super 8. La scena finale in cui Kirk e Spoke sono divisi da una lastra di vetro non sarà certo originale per contenuti, ma funziona splendidamente: colpisce lo spettatore e frammenta senza disturbo alcuno l'azione. Altro segno di lavoro all'interno del genere, in cui solo i più grandi si sono finora cimentati con successo.