martedì 26 febbraio 2013

Noi siamo infinito



NOI SIAMO INFINITO.

Noi siamo infinito è davvero una bella sorpresa. Inizia come un film sulle difficoltà adolescenziali dell'impatto con la high school, quindi diventa una storia sull'amicizia e infine si trasforma in un racconto adulto, su ciò che ti segna nella vita ma non ti determina.
L'amico a cui il protagonista scrive (forse immaginario, come ipotizza lui stesso) si rende subito uno strumento utile a catturare l'attenzione e la simpatia dello spettatore, chiamato così ad accompagnare da vicino il giovane protagonista nel suo primo giorno di scuola, e a partecipare alle sue sensazioni. Al di là dell'uso reiterato che il cinema fa di questa modalità narrativa, il film riesce a mantenere sempre una certa delicatezza di sguardo, che lascia apprezzare pienamente i passi compiuti sia dal giovane che dai suoi futuri amici, nel tentativo di “scoprire” nuove persone e di superare, assieme, i propri problemi. E proprio in questa fase il film mostra la sua “straordinarietà”. Quando ormai ci sentiamo davvero consapevoli di quel che ha vissuto il protagonista, e sollevati da come le cose sono andate a migliorare per lui, il film cambia registro e ci rivela un dramma che ci sorprende, nello stesso momento in cui sorprende il protagonista; e l'effetto è veramente esplosivo.
La recitazione dei tre principali attori risulta fondamentale per la riuscita del racconto e sorprende vedere con quale abilità questi giovani interpreti riescano ad esprimere le molte sfaccettature sia del film che dei loro personaggi; in particolare Emma Watson sembra un'attrice navigata, truccata da teenager.


giovedì 21 febbraio 2013

Promised Land



PROMISED LAND.

Ci sono casi in cui lo spettatore si sente come avvolto dalla storia che gli si pone davanti, “scaldato” da una coperta fatta di affezione per i personaggi e la loro storia. Spesso questi film appartengono al cinema americano, perché se tante sono le critiche che si possono muovere a Hollywood di certo non si può contestare la loro abilità narrativa.
Promised Land racconta la storia di due impiegati di una multinazionale del gas naturale, chiamati all'ennesima operazione di acquisto di terreni in una cittadina (povera) della provincia americana. Ma questa volta la destinazione riserverà loro la scoperta di pesanti dubbi, sul loro lavoro ma anche sulla propria identità.
Il percorso del film si snoda in una serie di scene in perfetto equilibrio, sia l'una con l'altra che nella propria composizione. Ognuna offre qualche informazione in più sull'animo dei personaggi, spesso attraverso un gioco fatto di riflessione e ironia, così frequente nel cinema americano da poter essere definito “classico”, ma di certo non semplice da realizzare. In quest'opera tutto si muove in modo apparentemente naturale, merito della sceneggiatura di Matt Damon che dimostra nuovamente quanto la sua abilità in questo campo non sia certo inferiore a quella nella recitazione. Stupisce ancora l'organicità del testo, per una storia che cresce di scena in scena senza mai volerci avvicinare troppo al personaggio, cercando invece di lasciarci lo spazio per un giudizio critico sulla vicenda, ma anche per riflettere su quale posizione avremmo preso noi in quella situazione.
Peccato solo per i rimpianti che avvia la prima scena; col suo splendido carrello a seguire il protagonista, prima dell'incontro con i “grandi” capi, aveva fatto sperare in un film con ben altri risultati dal punto di vista figurativo, come ci si aspetterebbe da Gus Van Sant. Invece quel che rimane è un'opera narrativa alla Cameron Crowe. E già questo non è poco.

giovedì 14 febbraio 2013

Argo



ARGO.

Dopo essersi fatto notare a Hollywood come sceneggiatore, e progressivamente ignorare come attore, Ben Affleck ha da qualche anno intrapreso forse la sua vera strada, spostandosi dietro la macchina da presa. E anche Argo sembra darcene conferma.
Il suo terzo film da regista narra la storia vera del recupero di sei cittadini americani, fuggiti all'attacco a un'ambasciata americana in Iran nel 1979, e nascostisi per diversi mesi nel consolato canadese della stessa località. L'intensità della trama certo non può prescindere dalla drammaticità degli eventi eppure la sceneggiatura offre molte soluzioni interessanti, in particolar modo nella resa della tensione vissuta in quei giorni da/tra i rifugiati e nell'eroica determinazione con cui il protagonista porta avanti la sua missione contro tutto e tutti. E' proprio nell'approccio a tali qualità dello script che Affleck dimostra la sua abilità in regia. Il suo sguardo classico rimane sempre in equilibrio tra i personaggi e la storia, permettendo allo spettatore di immedesimarsi sempre di più con la loro angoscia, speranza, fino alla paura della scena in aeroporto; sempre nel rispetto del genere.
L'assenza di qualsiasi giudizio politico sull'operato americano in Iran e la presenza invece della classica aurea patriottica rientrano perfettamente nello schema hollywoodiano per le storie vere, e pur facendo rimpiangere il coraggio dei primi due film del regista, lanciano Argo dritto verso gli (inevitabili) Oscar.