sabato 13 luglio 2013

To the Wonder


TO THE WONDER.

Neil e Marina sono una coppia di giovani innamorati, immersi tra le bellezze della Francia e pronti ormai al grande passo verso la terra natia di lui, gli Stati Uniti. Trasferitisi in Oklahoma insieme alla figlia di lei, avuta da una precedente relazione, la coppia vive momenti di felicità e di crisi e, tra separazioni e riconongiungimenti, percorre tutta la strada del sentimeno amoroso secondo Terrence Malick.
Non conta la storia in questo ultimo film del leggendario regista texano; come al solito lo spazio dello schermo viene invece dedicato a immagini incredibili e sbalorditive, capaci di cogliere tutta l'essenza del creato che ci circonda, facendo percepire la fede in una Vita composta non da più parti, ma in cui tutto e tutti fanno parte di un unico Essere. Una visione che trova un'eccezionale messa in scena nel naturale ciclo delle acque a Mont Saint-Michel, dove da un attimo all'altro si passa dalla quiete all'alta marea, come più tardi accadrà alla giovane coppia.
Dopo aver ricostruito la storia del Bing Bang e mostratoci il dualismo che da sempre regna tra Grazia e Natura, Terrence Malick rinnova stavolta la sua continua sfida col cinema narrativo hollywoodiano trattando un tema paradossalmente più complicato come il sentimento d'amore. Nonostante sia alla portata di tutti infatti, la sua descrizione e analisi necessitano di una comprensione che nessuno può raggiugere; neppure Malick. E infatti non è questo il suo obbiettivo, né la sua pretesa. Non si tratta di analizzare un sentimento così complesso ed epico, ma di “mostrare” invece il percorso che esso assume in una qualsiasi coppia, passando dall'esaltante fase iniziale al suo indebolimento; la famosa radice che si secca, immagine più volta richiamata a voce nel film. La modalità poi in cui avviene questa messa in scena è semplicemente unica, affidata ad una visione estetica che solo questo regista ha il talento e il coraggio di continuare a esprimere ad Hollywood, attraverso una macchina da presa in movimento a 360°, sempre in contatto con cielo e terra, e quella dannata magic hour (la luce del tramonto) da sempre protagonista dei suoi film.
Questi quadri in movimento sono talmente ricchi e numerosi che fanno però sentire l'assenza di qualcosa. Manca un contesto narrativo, uno sviluppo minimo di scene, di momenti all'interno del film, che permettano allo spettatore di relazionarsi con ciò che vede. Questo c'era in The tree of Life, e perfino nel meno riuscito The New World; seppur minimamente era però possibile seguire un'evoluzione narrativa che dava la possibilità di finalizzare quella bellezza estetica di cui si disponeva in sala. In To the Wonder invece tutto resta solo accennato, intuibile per lo spettatore ma solo attraverso un eccessivo sforzo interpretativo, che allo stesso tempo compromette una parte del godimento offerto dalle immagini. Il risultato a cui si giunge in questo modo è quello di rendere purtroppo noiose anche le danzanti camminate in mezzo ai campi, segno da sempre contraddistintivo di questo immenso ed unico artista, sempre alla ricerca di una sfida.

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