STOKER.
La silhouette di una ragazza si staglia
sullo sfondo di un tramonto intenso, dai toni cupi. Le parole fuori
campo sembrano appartenere a una ormai ex adolescente, disillusa e
pronta a iniziare il viaggio nell'età adulta: finalmente libera, pronta ad accettare il suo destino.
Chan-wook
Park si trasferisce per questo film dall'altra parte del mondo,
ingaggia maestranze americane e si affida ad un cast hollywoodiano
composto da un interessante mix tra giovani promettenti e
attori affermati; il risultato è semplicemente un film di Chan-wook
Park. L'ossessione della critica cinematografica per il tema del
regista trapiantato ad Hollywood finisce infatti stavolta con un
risultato più unico che raro, e probabilmente deludente per i molti
già pronti ad indicare l'ennesima prostituzione al mito
hollywoodiano. Stoker si pone in modo naturale come
continuazione dell'opera del regista, in linea con i suoi temi più
cari e con il suo modus operandi, senza compromessi ma neppure
cercando di nascondere la diverso dimensione produttiva in cui è
stata realizzata l'opera.
Il
film racconta la storia di India, una diciannovenne che ha appena
perso il padre e che si ritrova, da un giorno all'altro, a dividere
la propria casa con una madre che non ha mai sopportato e con uno zio
di cui non ha mai conosciuto l'esistenza. Quest'uomo si rivela da
subito interessato in modo ambiguo alla ragazza, e proprio la
misteriosa natura di questo individuo finirà per rivelarsi decisiva
nella maturazione della giovane protagonista. Tensione, seduzione,
mistero: tutte le componenti dei migliori thriller hollywoodiani. Ma
anche del cinema di Park che, come al solito, trasforma il soggetto
scelto in un saggio sull'essere umano. Per fare ciò due sono le vie
possibili al cinema: prendere l'esempio di individui e gesta
straordinari, oppure quello di individui ai limiti opposti, in
bilico tra morale e immorale, tra umano e disumano. Una delle due è
la strada facile, l'altra è quella di Chan-wook Park.
Eros e
Thanatos sono i motivi
conduttori del film: il primo dà avvio alla maturazione della
protagonista, l'altro è da sempre parte di lei e della sua natura. Lo
zio diventa allora la guida in grado di scortare India nel delicato
passaggio all'età adulta; senza perdersi nei dubbi amletici sulla
propria identità ma finendo per comprendere che chi siamo ora è
frutto del nostro passato e di un futuro già segnato. Mescolare
amore e morte come fa quest'autore comporta però penetrare nel
territorio del macabro, ed è in questo modo che il film si esalta e
decide di parlarci più in generale dell'essere umano e della sua
natura, attraverso l'antiretorica e la messa in scena delle
sensazioni primarie che ci rendono prima di tutto degli animali. Così
l'orgasmo nel film nasce dalla morte e dal suo ricordo, mentre il
montaggio, le carrellate e il crescendo musicale del brano al
pianoforte rappresentano la possibilità offerta a noi spettatori di
renderci partecipi di un viaggio nella nostra natura.
Chan-wook
Park dimostra ancora una volta quanto il termine “autore” non sia
affatto improprio in certi casi, ma anzi valorizzi una continuità di
tematiche e messa in scena che possono anche non cadere sotto i
dettami di una cinematografia tanto diversa e tiranna. Il sangue e la
morte continuano così a “strisciare” pure lungo Stoker,
all'interno di immagini costruite con una cura maniacale per la
fotografia e il dettaglio; come piccoli dipinti velati di mistero.Il
regista si lascia andare stavolta anche a brillanti omaggi alla
macchina del cinema (cos'altro è il cinema se non una luce che
infrange il buio di uno spazio chiuso come quello di un sottoscala?),
e se pure ceda forse qualcosa sul piano narrativo al momento della
consueta scena americana di riepilogo dei “perché” e dei “come”,
il percorso di vita scelto dalla protagonista nel finale riporta
tutto il film nelle mani del suo coreano autore. E la sua firma non
può che essere l'ennesimo (e forse pre-tarantiniano) spruzzo di
sangue, stavolta su fiori immacolati.