TO THE WONDER.
Neil e Marina sono una
coppia di giovani innamorati, immersi tra le bellezze della Francia e
pronti ormai al grande passo verso la terra natia di lui, gli Stati
Uniti. Trasferitisi in Oklahoma insieme alla figlia di lei, avuta da
una precedente relazione, la coppia vive momenti di felicità e di
crisi e, tra separazioni e riconongiungimenti, percorre tutta la
strada del sentimeno amoroso secondo Terrence Malick.
Non conta la storia in
questo ultimo film del leggendario regista texano; come al solito lo
spazio dello schermo viene invece dedicato a immagini incredibili e
sbalorditive, capaci di cogliere tutta l'essenza del creato che ci
circonda, facendo percepire la fede in una Vita composta non da più
parti, ma in cui tutto e tutti fanno parte di un unico Essere. Una
visione che trova un'eccezionale messa in scena nel naturale ciclo
delle acque a Mont Saint-Michel, dove da un attimo all'altro si passa
dalla quiete all'alta marea, come più tardi accadrà alla giovane
coppia.
Dopo aver ricostruito la
storia del Bing Bang e mostratoci il dualismo che da sempre regna tra
Grazia e Natura, Terrence Malick rinnova stavolta la sua continua
sfida col cinema narrativo hollywoodiano trattando un tema
paradossalmente più complicato come il sentimento d'amore.
Nonostante sia alla portata di tutti infatti, la sua descrizione e
analisi necessitano di una comprensione che nessuno può raggiugere;
neppure Malick. E infatti non è questo il suo obbiettivo, né la sua
pretesa. Non si tratta di analizzare un sentimento così complesso ed
epico, ma di “mostrare” invece il percorso che esso assume in una
qualsiasi coppia, passando dall'esaltante fase iniziale al suo
indebolimento; la famosa radice che si secca, immagine più volta
richiamata a voce nel film. La modalità poi in cui avviene questa
messa in scena è semplicemente unica, affidata ad una visione
estetica che solo questo regista ha il talento e il coraggio di
continuare a esprimere ad Hollywood, attraverso una macchina da presa
in movimento a 360°, sempre in contatto con cielo e terra, e quella
dannata magic hour (la luce
del tramonto) da sempre protagonista dei suoi film.
Questi
quadri in movimento sono talmente ricchi e numerosi che fanno però
sentire l'assenza di qualcosa. Manca un contesto narrativo, uno
sviluppo minimo di scene, di momenti all'interno del film, che
permettano allo spettatore di relazionarsi con ciò che vede. Questo
c'era in The tree of Life,
e perfino nel meno riuscito The New World;
seppur minimamente era però possibile seguire un'evoluzione
narrativa che dava la possibilità di finalizzare quella bellezza
estetica di cui si disponeva in sala. In To the Wonder
invece tutto
resta solo accennato, intuibile per lo spettatore ma solo attraverso
un eccessivo sforzo interpretativo, che allo stesso tempo compromette
una parte del godimento offerto dalle immagini. Il risultato a cui si
giunge in questo modo è quello di rendere purtroppo noiose anche le
danzanti camminate in mezzo ai campi, segno da sempre
contraddistintivo di questo immenso ed unico artista, sempre alla
ricerca di una sfida.
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